venerdì 25 marzo 2011

MyHometown

I ritorni sono sempre difficili. Torni con tante domande. Molti dubbi. Lasci a casa tutti gli affetti. La mamma, il papà, i fratelli, i nipotini che crescono, gli amici che vivono la loro vita. Guardi la tua terra quasi come uno straniero. Vedi le cose come dall’alto e cerchi di capire.

Il tuo legame con quella realtà è molto forte. È dove sei nato, dove hai passato gran parte della tua vita, dove pensavi di vivere un giorno. Poi sei partito. E ti senti sconfitto, perché non sei riuscito a essere quello che volevi essere. Il lavoro, la situazione economica e la sfortuna non ti hanno permesso di realizzare i tuoi sogni. È difficile per me pensare a una persona che nasce pensando di partire. La partenza è quasi sempre una necessità o forse un obbligo. Si parte anche con il sogno di tornare.

Ogni volta che torni nel tuo paese d’origine ti chiedi che ne è stato dei tuoi amici. Si sono sposati? Hanno figli? Hanno comprato casa? La macchina?

A volte è più importante questo che la tua realtà d’emigrato. A volte ti sacrifichi solo per fare vedere alla tua famiglia che stai bene. Una sorta di riscatto personale alla vita. La voglia di nascondere i drammi della tua vita d’emigrato. Ti metti sempre dalla parte dell’eroe. Poi finisce. Il tempo passa e devi tornare. A Modena. Nella tua casa con i tuoi fantasmi.

Allora cominciano le domande, ti ritrovi con te stesso, rivedi la tua vita e ti rendi conto che molte cose sono virtuali. Che il tuo rapporto con le persone a casa è basato su fatti che hai voluto raccontare. E che anche la tua realtà emiliana è un po’ falsata.

Non si riesce mai a raccontare tutto e qualche volta, quando non si hanno risposte o non si possono dare risposte, si mente. L’e

migrato è molte volte bugiardo: con le persone della sua terra, con le persone della sua nuova terra e con se stesso.

martedì 22 marzo 2011

Rock'n'Roll

Domani che è il mio compleanno, sono più felice del solito. Vorrei parlarvi dei miei primi quarantanni e passa. O dei miei prossimi quarantanni. O della voglia di prendere una barca a vela e girare per mari e porti. O di tutti i libri che ancora non ho letto. O dei dischi che non mi stancherò mai di ascoltare. Dei film che mi emozioneranno ancora. Degli amici persi per sempre e di quelli che non ho mai avuto. Faccio analisi insomma. Di cosa sono diventato e di quello che volevo essere. (Intanto ho finito di leggere l'ultimo Michael Cunningham che mi è piaciuto molto, davvero un gran bel romanzo... eppoi sono in piena fase R.e.m., nel senso che ascolto solo il loro ultimo fantastico album...) E poi alla fine penso che... baby, la vita, come il rock'n'roll è tutta un'altra storia...

lunedì 14 marzo 2011

OneWay

Ho smesso di scrivere, ma poi ne ho sentito la mancanza, non era giusto abbandonare questo amore… Mi sono guardato allo specchio una mattina, e la sera dopo ho smesso di fumare, ho tirato fuori di nuovo la calzamaglia e le scarpette ed ho ripreso a correre, all'inizio piano, poi più forte, fino a prendere il mio ritmo di sempre … Poi ho messo in fila quel che non mi piaceva ed ho iniziato a parlare e a far valere le mie ragioni: non ho trovato una soluzione per tutto ma iniziare mi è sembrato un passo enorme… Ho ancora dei piccoli buchi di incertezza mescolata ad insicurezza, a tratti ho paura, ho qualche momento di ansia, sudore freddo e palpiti troppo veloci sul mio cuore… Non è detto che una paura non possa essere trasformata in qualcosa di positivo per se stessi... perché certe volte tutto è il contrario di tutto...

lunedì 7 marzo 2011

Lotus Flower

Oggi è di nuovo Modena. Che mi parte a palla quasi fosse da sempre inserita nel mio iPod. I Radiohead sembrano suonare e dipingere questa città di pianura. Sarà per la presenza quasi isterica di un vento antipatico. O per il tuo sguardo. Su cui appoggerò le mie mani stanche, non lontano da ciò che più mi è rimasto ancora, vivo, dentro il cuore. Modena è splendida sotto questo leggero sole di un inverno che sta chiudendo i battenti. In questa linea di confine dipinta da razze opposte e da te, piccola. Colori acidi che sfumano violentemente in quel colpo alla schiena chiamata cassa integrazione. Non è un caso, credo, che ad un certo punto mi fermo impassibile a fissare una birra da mezzo, mentre i Radiohead cantano Lotus Flower. Traccia n°5

di un capolavoro. Poi sei ancora te. Sempre. Che però vedo per poco. Troppo poco per perdere il mio sguardo nel tuo.

mercoledì 2 marzo 2011

Collapse Into Now

Ripartiamo da zero. Oppure da uno.
Da “Accelerate“, il disco del 2008.
Non ha senso guardare troppo indietro, per raccontare i R.E.M. di “Collapse Into Now“. Quella storia, la storia che inizia nel 1980 e continua con sei dischi in sei anni, dal 1983 al 1988; la storia di “Green” e “Out Of Time“, di Losing My Religion che diventa una hit mondiale così, dal nulla, di “Automatic For the People“, forse il miglior disco pop rock degli anni’90, di “Monster” e “New Adventure in Hi-Fi“; la storia di Bill Berry che smette di suonare e “Up” che viene fuori non si sa bene come, di “Reveal” e “Around the Sun“. Quella storia lì, che c’è e che pesa come un macigno, lasciamola da parte per un momento.
Ripartiamo da “Accelerate“, appunto. Dai R.E.M. arrivati probabilmente alla fine della corda dopo aver tentato di giocarsi la carta della grande pop band su scala mondiale.
Non sono mai stati gli U2, e neanche i Radiohead, anche se nell’immaginario collettivo vengono indicati come una delle tre o quattro band da stadio rimaste. Superati a destra, nel corso dell’ultimo decennio, da Coldplay, Muse e Pearl Jam.
Dovevano diventare una cosa per tutti, sono stati la cosa di tanti. Un gruppo atipico, e bastava andare a un loro concerto per accorgersene. Anche un concerto in uno stadio. Uno di quelli con il pienone. La sensazione è che gran parte di quella gente fosse lì per ascoltare un paio di canzoni e basta. Il resto erano e sono fan. Di quelli veri. Quelli che hanno vissuto i R.E.M. indipendenti, oppure hanno compiuto il percorso inverso. All’indietro.
Dopo “Around the Sun” sembravano finiti, destinati a sciogliersi oppure continuare finendo per diventare la macchietta del gruppo che fu. Quelli che vai a vedere dal vivo sperando nel greatest hits. E poco altro.
Sono ripartiti da loro stessi. Con un disco veloce. Un disco da gruppo. Da saletta. Attacca gli strumenti e parti, vai. Suona.
Non una rivoluzione, ma almeno un atto di appartenenza, quello sì. Si sono ripresi gli R.E.M. degli anni ’80 e ’90 senza fare troppi proclami. Un ritorno al passato non per compiacere il loro pubblico, ma per sopravvivere a una crisi.
Capire quello che il gruppo è ed è stato. Capire soprattutto quello che non sarebbe stato mai. Non sono una band da anni spesi in studio di registrazione a limare ogni difetto. Anche nei dischi più complessi c’era un senso di precarietà che li rendeva speciali. Diversi da tutto. Poi si sono seduti, ma l’hanno fatto comunque rischiando.
Con “Accelerate” sono tornati a non porsi domande. A divertirsi. E infatti quell’album ha goduto di riscontri di critica e pubblico forse anche eccessivi. Sono tornate le copertine delle riviste americane, ovunque si è parlato dei R.E.M. come di un gruppo ormai sciolto, ritornato in pista. E in forma.
In realtà quel disco di difetti ne aveva. E neanche pochi. Era un disco di attitudine, di suono, ma non di canzoni (non tutte, almeno). Era quello che ci voleva in quel periodo, però.
“Collapse Into Now” prende il via da lì. Sono i R.E.M. di “Accelerate”, con i suoni di “Accelerate”, che cercano di ricominciare a scrivere alla R.E.M. Non si concentrano su uno stile: sono rock, ma anche pop. Hanno le chitarre elettriche distorte, e pure le acustiche. Sono il gruppo che ha scritto “Monster”, ma pure quello che ha scritto “Out of Time”.
Sono i R.E.M. che fanno i R.E.M.
Bene, onestamente, senza sembrare la caricatura di loro stessi. E senza neanche porsi troppo il problema di quello che ci si aspetta da loro. Basta vedere il modo in cui hanno scelto di promuovere il nuovo album. Pochissime interviste, niente tour, un video non proprio facile, due singoli fatti uscire in contemporanea, un sacco di anteprime.
“Collapse Into Now” è semplicemente la fotografia del gruppo in questo preciso momento. Non è un disco col pilota automatico, è il disco che avevano voglia di fare e che dovevano fare adesso.
E pazienza se le canzoni somigliano ad altre, se si ha la sensazione di averle già sentite. Anche questo sono i R.E.M., la loro riconoscibilità è sempre stata la loro forza più grande. Quei giri di chitarra, quella voce, quei coretti. Tutto quello che serve, e che c’è.
Non aspettatevi rivoluzioni o un disco che vi cambi la vita. Quello l’hanno già fatto. E se siete ancora qui vuol dire che ci sono riusciti. Non aspettatevi neanche il disco dell’anno. Ma un album che riascolterete tanto, soprattutto se siete tra quelli che di questo gruppo hanno un bisogno quasi fisico. Ecco, quello sì.
Quello c’è. Un disco onesto, dopo trent’anni di carriera.
E non è poco... (E se, come sembra, questo sarà l'ultimo album dei R.e.m., bè forse, sarà la prima volta che piangerò per lo scioglimento di un gruppo, il mio gruppo...)