sabato 30 gennaio 2010

Mumford & Sons - Sigh No More


Rimanere folgorati al primo ascolto di un esordio discografico. Capita sempre meno. Si perchè la musica che gira intorno ultimamente non sforna grandi capolavori. Saranno almeno un paio d'anni che non esce un disco della madonna che ci fa gridare al miracolo. Questo lo status quo di un qualsiasi amante di quella vecchia besta del rock'n'roll. Eravamo in attesa. E poi, quasi distrattamente mi capita tra le mani, quasi tre mesi dopo la sua uscita questo "Sigh No More" dei Mumford & Sons, mi colpisce soprattutto la copertina, bella e corale... e poi, bè il tempo di caricarlo sull'iPhone, allacciare le cinture di sicurezza, infilarmi le cuffiette e Buummm, uno sparo...colpo di fulmine e amore a prima vista... Sono ritornati i Waterboys più scanzonati, ma no qui c'è anche qualcosa dei mai dimenticati Housemartins, gli Hothouse Flowers dei primi due splendidi album, eppoi il sound di quel film indimenticabile che è The Commitments... Intendiamoci nulla di nuovo sotto il sole, ma ca**o se suonano da dio e che bella atmosfera si respira. Folk allo stato puro, pieno di mandolini, banjo, dobro e con crescendi da brividi. In pieno stile irlandese, ma loro sono british, e soprattutto convincenti, davvero convincenti. Il singolo "Little Lio Man" è un piccolo gioiello di un album che suona bene dall'inizio alla fine, dodici perle, davvero... Si spera che questo album venga apprezzato e goduto da quanta più gente possibile, diventi popolare assai, perchè loro seguano questa strada, polverosa e allegra, di baldoria e folk. Solo il tempo ci dirà se si tratta di un illusione o se i Waterboys e gli Housemartins e gli Hothouse Flowers hanno trovato dei degni eredi. Nel frattempo in pieno Rock'n'Roll... Album dell'anno appena trascorso per il sottoscritto. Da zero a cinque stellette io le metto tutte e cinque...

sabato 16 gennaio 2010

Football


Sono stato bambino in Lucania negli anni ottanta. Scanzano Jonico, una piccola città sul mare. Per me Scanzano voleva dire libertà assoluta, a patto che mi presentassi all'uscio all'ora di pranzo, all'ora di cena e per andare a dormire. Era un tempo meraviglioso, incantato, senza aspettative, senza pensieri, senza programmi. Al centro di tutto non c'erano ancora le ragazze e nemmeno la musica, ma il calcio, e dai dodici anni in su, solo il calcio. I nostri eroi erano i campioni del mondo dell'82. Andavamo al campo sportivo a vedere gli allenamenti della squadra dei grandi che militava in promozione, ricordo di quei pomeriggi l'odore forte delle pomate e la voglia di poterla usare un giorno anch'io. Il mister era di pochissime parole, rideva poco, aveva gli occhi di ghiaccio alla Clint Eastwood, e questo aumentava il suo carisma per noi ragazzini. Sapeva qualcosa che noi non sapevamo e anche solo stare lì a guardare era un modo per dorare il nostro tempo. Lui ci lasciava stare lì intorno a capannello, non dava mai l'impressione di essere disturbato. Se qualcuno faceva una domanda, rispondeva tecnico e breve. Poi alcuni anni dopo, quando io facevo parte di quella squadra e vivevo quello spogliatoio, osservavo i bambini che ci osservavano e si inebriavano al profumo di quelle pomate... Il calcio entra negli occhi. Quando succede è irreversibile, puoi venire da una provincia italiana che mai è entrata nell'almanacco della panini, ma quando il calcio ti entra negli occhi non puoi più scappare. E noi ragazzini intorno a quel campo non eravamo diversi da quei ragazzini scalzi che affollano le spiagge di Rio o i campi dei villaggi africani. Il calcio ci fa impazzire perché assomiglia a qualcosa che hai vissuto già e che hai perduto. Il calcio è lì, nel deserto della nostra infanzia infinita, nei poster dei ragazzini diventati grandi, nell'idea di vivere la vita nella visione, nella passione, nella gioia di una partita di calcio.